Il principio di sottrazione

Alla fine del mio libro sulla meditazione, ci sono quattro pagine intenzionalmente vuote. Mi sono chiesto se scrivere su ognuna di esse Questa pagina è lasciata intenzionalmente vuota, come alcuni usano. Questo però avrebbe significato mentire: se ci avessi scritto sopra, la pagina non sarebbe più stata vuota. D’altra parte, come fai a sapere se quella pagina è vuota per errore, per necessità o per scelta? E perché, in caso? Allo stesso modo, vivere intenzionalmente non è nel pianificarlo, ma nel viverlo. Tecnicamente, pianificandolo è come scrivere su una pagina vuota che quella pagina è lasciata intenzionalmente vuota. E questo è un bel problema perché sto lavorando all’aggiornamento del mio planner per un anno memorabile, così da meglio cavalcare la prossima onda. Dunque, può (e in caso come?) una pagina essere intenzionalmente vuota senza dichiararlo?

Contestualizzare l’operazione

La risposta è sì, purché il contesto la renda comprensibile. Ci può essere una pagina vuota alla fine di un capitolo o di una parte, e questo serve a identificare uno stacco. A nessuno verrebbe in mente di chiedersi perché quella pagina sia vuota. Ci può essere una pagina vuota prima e dopo la dedica, perché questo serve a farle spazio e darle valore. Idem per l’epigrafe. Ma alla fine del libro? Tecnicamente, un libro è fatto di fogli ripiegati, quindi a volte “avanzano” delle pagine. Si possono riempire ingrandendo il carattere usato nel corpo del testo o aggiungendo che so, una biografia più lunga, delle foto, una storia… Ci ho pensato anche io. Per me però quelle pagine sono dedicate agli appunti del lettore. Che può crearsi un indice personalizzato o semplicemente “taggare” i passi del libro per poterli rivedere per argomento successivamente. O tenere traccia della propria progressione. O, visto che all’interno del testo suggerisco di scrivere delle cose, scriverle lì. O semplicemente prendere delle note.

Ora, io questo non l’ho scritto da nessuna parte, perché scrivendolo avrei aggiunto del testo su quelle pagine. Che a quel punto non sarebbero state più vuote. Avrei usato io le pagine dedicate al lettore. E avrei anche inciso sulla sua decisione di usare, o meno, e come, quelle pagine. Così ho deciso di lasciarle vuote.

I motivi per cui una pagina rimane vuota sono le linee guida della lettura. Se conosci le linee guida, non hai bisogno che ci sia scritto sopra una pagina vuota che questa è lasciata intenzionalmente vuota. Se conosci le linee guida della tua vita, non hai necessità di pianificarla (la crescita personale è un’altra cosa).

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Senza programmare una vita intenzionale, come fai a viverla? Penso che sia come andare in bicicletta: sai che devi stare in equilibrio, ma non è che lo progetti prima di partire. E lungo la strada scegli la traiettoria che ti permette di rimanere in equilibrio, aggiustando la posizione di bici e corpo in base alle asperità del terreno. È attraverso l’equilibrio (e la disciplina) che costruisci quell’armonia di cui tratto alla fine del libro Vivere intenzionalmente – Semplici pratiche per rimanere connessi con i propri perché.

La matematica minimalista

La perfezione è raggiunta non quando non c’é più niente da aggiungere, ma quando non c’é più nulla da togliere.

Antoine De Saint-Exupéry

Nella matematica del minimalismo, togliere “Questa pagina è lasciata intenzionalmente vuota” è una forma di addizione. Stiamo facendo spazio per quello che è destinato a quella pagina. Tecnicamente parlando, sarebbe però una sottrazione, perché stiamo togliendo dalla pagina ciò che la rende imperfetta – e che a ben vedere è il risultato di un’addizione – consentendole di esprimere se stessa nella sua essenzialità. Ovvero in ciò che ne determina l’essenza, il proprio motivo di essere (uno spazio vuoto).

Ho letto nel blog di Derek Sivers questa frase:

La sottrazione mi ricorda che quanto ho bisogno di cambiare è già qui, non da un’altra parte.

Derek Sivers

La differenza

Nella teoria degli insiemi, la sottrazione fra due insiemi A e B è quella operazione che produce un insieme dove ci sono gli elementi di A non appartenenti a B. E questo risultato si chiama differenza. Quanto del mio insieme (A) non è presente in tutti gli altri (B) è la differenza che faccio io, con la mia vita, in questo mondo. Per piccola che essa sia, è quanto ci rende unici.

Ampliando un po’ il discorso, è semplice riconoscere nelle persone di successo la capacità di mantenere l’attenzione su quello che conta davvero, proteggersi dalle distrazioni e dai perditempo, dire no a quasi ogni cosa e sapersi distaccare da credenze e abitudini. Quando cerchi di fare più cose, di dire di sì a tutti, quando rimani attaccato a quello che sei abituato a fare o quello che pensi di essere in grado di fare, quasi sempre ti ritrovi con un biglietto di sola andata per il fallimento.

Dunque, pianificare o no? E cosa?

Tornando a noi, ecco, non mi sognerei mai di consigliare di vivere senza pianificazione. Pianificare è l’unico antidoto contro le distrazioni. Pianificare ogni cosa, però, alla lunga rischia di diventare di una noia mortale. Ed è qui che entra in gioco l’improvvisazione. Che tu con la tua differenza puoi suonare una melodia unica. E come ho scritto nell’articolo sull’improvvisazione, per improvvisare devi conoscere alla perfezione la musica e il tuo strumento.