Sottovaluta quel problema
Qualche giorno fa un giornalista, intervistando un mio cliente che ha chiuso un investimento da 30 milioni di dollari per la propria azienda, gli ha domandato come facesse ad avere sempre la risposta a ogni problema. O meglio, ha sottolineato che parlando con lui sembra sempre che la soluzione ce l’abbia a portata di mano. Il segreto, ha risposto l’iimprenditore, è che lui sottovaluta i problemi. Che significa? Non andrebbero presi sul serio i problemi?
Direi di no. È in effetti una tendenza che ho anche io: sottovalutare i problemi significa non vedere i problemi dove in effetti essi sono. Se non li vedi, non te ne preoccupi. Ovvero, non te ne occupi prima, che è esattamente quello che significa preoccuparsi. Non essendoci più il problema, la soluzione è più evidente. E anche non necessaria. Se e solo se poi il problema si presenta, lo si affronta. A quel punto però è probabile che tu sappia già come risolverlo, grazie all’esperienza maturata nel tempo che hai risparmiato non preoccupandoti del problema.
Ragionare sui problemi prima che questi si presentino non è una cosa sbagliata del tutto. Aiuta infatti a prevenirli. Soprattutto nel lavoro, prima di ogni attività penso a cosa potrebbe andare storto e trovo una soluzione per evitare che quello che potrebbe andare storto vada effettivamente storto ed elaboro un piano B per affrontare quello che potrebbe andare storto qualora lo facesse. Questo in effetti significa preoccuparsi dei problemi e cozza con quanto ho scritto sopra. Non del tutto però.
Ci sono tre tipi di problemi:
- quelli che ti bloccano;
- quelli che ti incasinano;
- quelli che ti fanno fallire.
Dei primi è bene non preoccuparsi, perché è peggio essere bloccati che incontrare un problema. Dei secondi è bene non preoccuparsi troppo, senza però ignorarne l’esistenza. Se poi si presentano, si affrontano. Degli ultimi ha più senso preoccuparsi. A patto che non diventino bloccanti, perché in quel caso si ritornerebbe nella prima categoria. Ci sarebbe anche una quarta categoria di problemi, i cosiddetti nice to have, felici di averceli, ma va da sé che di questi non è necessario preoccuparsi prima.
In definitiva, mi pare che possiamo concordare sull’utilità di sottovalutare le prime due categorie di problemi, per concentrarci sul presente e preoccuparci casomai di quei problemi che ci potrebbero far fallire. Almeno fino a che non diventano bloccanti, che in quel caso sappiamo già come comportarci.
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