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Opt out (chiamarsi fuori)

Silvio Gulizia
Silvio Gulizia
4 minuti
Opt out (chiamarsi fuori)

Ok, ho un sacco di lavoro da fare, ho pensato sabato scorso quando ho finito di leggere il mio libro. Ed è esattamente quello che vorrei pensassi tu. Perché è così: ho scritto un libro che raccoglie un po’ di riflessioni e semplici pratiche per rimanere connessi con i propri perché, solo che non si tratta di cose da leggere e mandare memoria, ma di cose che vanno meditate e ricombinate per dare forma ognuno al proprio percorso. Nella pratica. Perché i miei, di perché, e i tuoi, magari sono anche simili in parte, ma a un certo punto divergono, perché ognuno di noi è uguale a un altro fino a un certo punto, ma poi c’è quell’un per cento lì che ci rende unici ognuno a modo suo.

La pratica intenzionale

Il tipo di pratica a cui penso è simile a quello della pratica Zen, che non è propriamente una pratica, anche se per intenderci possiamo usare questo termine. Così scrivo a proposito nel libro:

La pratica Zen è essa stessa ricerca della felicità, anche se in questo caso la felicità non è l’oggetto della ricerca. In un certo senso, è ricerca senza un oggetto di ricerca, l’unico tipo di ricerca il cui ultimo fine sia se stessa, ovvero l’atto del cercare con impegno e attenzione, che poi è quello che ci rende cercatori, indipendentemente da ciò che troviamo.

Tu che diavolo stai cercando?

Io me lo sono chiesto dopo che una lettrice mi ha aperto gli occhi, definendo quello che io chiamo vivere intenzionalmente un trovare quello che cerchi, anche se non sai ancora esattamente di che si tratti. C’è una sezione del mio libro intitolata non a caso la pratica intenzionale, perché quello che siamo chiamati a fare se vogliamo vivere intenzionalmente è praticare mettendoci la testa. In un certo senso – ed è per questo che un’altra sezione del libro è dedicata al life hacking – quello che siamo chiamati a fare per rimanere connessi con i nostri valori e ideali è hackerare le nostre scelte.

Controllare le opzioni

Molte delle decisioni che assumiamo, nella vita come nel lavoro, sono determinate dalle opzioni a cui siamo esposti. Per esempio, se dormi con l’iPhone sul comodino una delle prime cose che sei portato a fare quando ti svegli è controllare le notifiche dei social e le email. Se il telecomando della tv è sul divano, accenderla è istintivo. Se in frigo metti la birra sul ripiano che per primo vedi, è più facile che bere diventi un’abitudine.

Per questo nel mio libro ho cercato di raccogliere quelle pratiche che ci rendono immuni alle opzioni a cui la società della distrazione ci espone per coinvolgerci nel suo progetto rinunciando al nostro, e altre pratiche con le quali offrire al nostro cervello – che è pigro e per questo sceglie sempre la cosa più facile – opzioni che concretizzino le nostre intenzioni, così che ogni azione da noi compiuta finisca con il far parte di un piano di vita che ognuno di noi si costruisce secondo le proprie intenzioni, giorno dopo giorno, attraverso quella pratica intenzionale che come abbiamo visto è una ricerca senza fine. Il che significa che non ha un fine inteso come obiettivo, ma che neppure ha un fine inteso come the end. Questa pratica a cui siamo chiamati da noi stessi altro non è che una ricerca di noi stessi, finalizzata non tanto a trovarci, ma a realizzarci per quello che siamo, cercatori.

Sei dentro, o sei fuori?

In campo tecnologico, ogni software che utilizzi i nostri dati per farci qualcosa ha oramai l’obbligo di notificarcelo e offrirci la possibilità di rifiutare. In gergo tecnico, si parla di opt-in e opt-out:

  • opt-in: dovrebbe essere la scelta predefinita, ma tante volte è un’opzione. Tante volte infatti ci siamo dentro fin da subito, e l’esserci dentro significa accettare delle regole che non erano così chiare quando abbiamo cominciato a giocare, e che sempre più spesso ci sono state nascoste nella speranza che non saremmo mai andati a cercare il modo di cambiarle. Tu pensa se Facebook o Google ti chiedessero come prima cosa di accettare che usino i tuoi dati per vendere pubblicità ai propri inserzionisti, che è poi il loro modello di business: vorresti entrare a far parte di questo club esclusivo? O non avresti forse mille dubbi prima di iniziare a usare i loro servizi?
  • opt-out: chiamarsi fuori è così divenuta un’opzione. No grazie, Mark, non puoi usare i miei dati per spammare i miei amici e rifilarmi pubblicità di vario genere. No grazie, Google, non puoi usare i miei dati per propormi cose da comprare, leggere, o vedere in TV. Preferisco fare di testa mia. e dunque niente notifiche dalle varie app che abbiamo installato, niente email di primo mattino, niente suoneria per i messaggi e via dicendo.

Ci sono diversi studi su come la donazione di organi si è diffusa in Europa. E quello che questi studi evidenziano è come molti stati europei abbiamo fatto schizzare in alto il numero di donatori di organi cambiando la propria politica da opt-in a opt-out. Se muori ti espiantiamo gli organi, a meno che tu non ci chieda prima di non farlo. Ed è esattamente quello che la società della distrazione fa con noi tutti i giorni: facciamo come voglio io, a meno che tu non decida preventivamente di fare in modo diverso. Ci stai, secondo questa regola?

Eppure ci stai giocando. Quello che puoi fare è utilizzare semplici pratiche per fare opt-out dalla società della distrazione e scegliere di scegliere. Che è come imparare a dire di no a tutto quello che ci viene proposto da fuori per dedicare a quello che abbiamo dentro di noi il nostro tempo, la nostra attenzione, e la nostra energia. Ovvero quelle risorse di cui abbiamo una quantità finita e che determinano chi siamo e chi diventiamo in base a come le spendiamo.

Riflessioni

Silvio Gulizia Twitter

Apprendista Jedi. Life hacker. Scrittore.