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Cose strane che ti succedono nel qui e ora

Silvio Gulizia
Silvio Gulizia
4 minuti

Nelle ultime settimane mi sta succedendo qualcosa di strano. Ogni volta che mi corico, trascorro un tempo indefinito in uno stato che non riesco a definire, e che a pensarci mi ricorda quello che scrivevo circa l’essere senza fare. E mentre il pensarci un po’ mi disturba, quando succede ammetto che mi piace. Non dormo, ma non sono neppure sveglio. Eppure riposo, o meglio mi preparo a riposare, fino a quando non decido di dormire.

Una necessaria premessa: di solito, quando vado a letto, spendo un po’ di tempo a ripensare alla giornata trascorsa, a quello che voglio fare il giorno appresso o nei mesi a venire, e a mille altre cose a cui più o meno volontariamente indirizzo la mia attenzione. Ho sempre sofferto di insonnia, anche se non la chiamerei così. Da giovane1 restavo sveglio fino alle 3 o 4 di notte a leggere, e ricordo molto bene alcuni romanzi terminati nel cuore della notte, come Q, Il pendolo di Foucault o Il giuoco delle perle di vetro. Iniziavo a leggere e non mi fermavo più. Oppure leggevo, spegnevo la luce perché mia madre mi invitava a farlo, e dopo una ventina di minuti mi rimettevo a leggere2. O mi alzavo a scrivere. Quello che mi succede ora è tutta un’altra cosa.

Dunque, succede così: mi corico, sdraiandomi sulla schiena, in una posizione diversa da quella che assumo quando dormo, simile a quella in cui leggo a letto. Il che avviene quasi tutti i giorni, quindi in un certo senso è un prolungamento di quella posizione. Mentre sto così, sento il mio respiro farsi più vicino. Qualche volta ho provato a pensare che il mio corpo volesse meditare prima che fossi io a dirglielo, e ho provato ad assecondare questa cosa. Quello che viene dopo però non è meditazione, anche se quella c’entra sicuramente in un qualche modo.

Mentre sto lì in questo stato in cui finalmente trovo un po’ di pace – che non è pace, ma non saprei in che altro modo chiamarla – mille pensieri bussano alla mia mente, ma per lo più non rispondo, esattamente come faccio con il telefono che squilla, i messaggi o le email che ricevo quando scrivo o lavoro3. Noto chi è, cos’è, e se quel pensiero mi rendo conto che è importante, mi annoto di richiamarlo. Ora, questa cosa è molto simile a quello che si fa in alcune pratiche di meditazione, solo che io non lo sto facendo scientemente, ma quasi senza pensarci. È un po’ come se volessi starmene in pace e quel pensiero lì mi disturbasse. Un po’ come se mi prendessi un the o fossi a pranzo con la mia famiglia, e il telefono in un’altra stanza. In quel momento non c’è spazio per le distrazioni.

E poi succede che…

Mentre sto lì a riposare, a godermi quel momento di pace dopo aver lavorato tutto il giorno e aver messo a letto i bambini, a un certo punto mi pare di non essere più lì. Mi dico che mi sto per addormentare, ma questa cosa ovviamente mi risveglia. Resto lì ancora un po’, e quando torna quella sensazione di sonno la lascio entrare senza dirle nulla. Solo che non è sonno, anche se ho effettivamente sonno.

Quello che succede dopo non lo so. Ho provato a scriverlo, ma non trovo le parole. Il che per uno come me è frustrante. Alla fine mi sono rassegnato al fatto che le parole non ci siano. Almeno non nella mia lingua, né in inglese o latino. Sono, senza fare, e però mi stanco un po’, mentre mi riposo. A un certo punto tutto finisce, come il sole quando tramonta. Sorrido e mi giro su un lato per godermi il sonno.

Due parole su quello che è successo

Non credo che tutto questo abbia una qualche influenza sulla mia vita, e al massimo è il contrario: è il risultato di dedicare sempre più tempo alla pratica della meditazione. Forse, o forse no: forse sono semplicemente troppo stanco per dormire e per dare retta a tutti quei pensieri. O sono troppo vecchio per stare ancora lì ad ascoltarli fino a tarda notte. O è una sorta di allergia alle distrazioni che maturi quando provi a praticare il qui e ora per imparare a dedicarti a te stesso con un po’ di sentimento.

Siamo così distratti dal vivere che a volte ci dimentichiamo di essere vivi, e quando ci accorgiamo di essere vivi non ci capacitiamo di non avere altro da fare.

Sarà così. Recentemente mi sto anche sforzando di dedicare del tempo a godermi le cose semplici della vita: bere il the per bere il the, senza fare altro; giocare con i bambini senza pensare alle mille cose che ho nella mia to do list; concentrarmi su quello a cui sto lavorando ignorando il resto, come insegna la tecnica pomodoro; e così via. Mi sto impegnando a lasciare l’iPhone da parte e a non sedermi al computer la sera. Mi sto sforzando di rallentare, camminare osservando il panorama, e trovare del tempo per pensare. Faccio talmente schifo in molte di queste cose che mi ci devo impegnare per riuscirci, e da un po’ di tempo alcune mi riescono meglio.

O forse sto morendo. Anzi, sicuramente sto morendo. Così come sto vivendo. Perché la vita non ci sarebbe senza la morte e viceversa. E forse, quando teniamo fuori tutte le distrazioni, quello che ci rimane è la vita com’era stata pensata, con la morte incorporata, che le da quel senso di urgenza che ti porta a vivere e godere di ogni suo istante.

Non so tu, io non ho risposte, ma raccontandotelo mi sono tolto un peso. Grazie per averlo letto.

PS: Sul magazine di Mediolanum Centodieci questa settimana è uscito un mio articolo sulla fuga dal digitale che riassume alcuni trend in forte crescita e che stanno per cambiare il mondo in cui viviamo, e in alcuni casi già l’hanno fatto.

  1. Se non avessi moglie e figli probabilmente mi succederebbe ancora.
  2. E poi lei mi spegneva la luce quando si alzava nel cuore della notte, o il mattino appresso.
  3. Per essere onesti, lo squillo del telefono è una delle poche notifiche sonore che ho attive insieme ai promemoria.
MeditazioneRiflessioni

Silvio Gulizia Twitter

Apprendista Jedi. Life hacker. Scrittore.


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