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Ikigai, un’introduzione

Silvio Gulizia
Silvio Gulizia
3 minuti
Ikigai, un’introduzione

Di recente ho incontrato più volte questa parola giapponese, ikigai. Non è traducibile, ma il suo significato è piuttosto semplice. Iki significa vita, esistenza, mentre gai definisco lo scopo, la ragione, l’uso, il beneficio, qualcosa per cui ne vale la pena. Il significato di ikigai è di conseguenza qualcosa di simile a “ragion d’essere”. La traduzione però è limitante.

In un’unica parola i giapponesi esprimono infatti diversi significati: il motivo per cui ci alziamo tutte le mattine, quello che vogliamo realizzare con il nostro tempo, le nostre passioni, la nostra vocazione, il modo in cui contribuiamo a questo mondo, e in definitiva quali sono le nostre intenzioni.

Come si genera un ikigai

L‘ ikigai è un incrocio di diversi aspetti. Un concetto molto simile a quello di vocazione nella definizione che ne dà lo scrittore Jeff Goins in The art of work. Che però ikigai ingloba, come spiega Hector Garcia nel suo libro sull’Ikigai. Ikigai è l’incrocio fra:

  • quello che ami
  • quello in cui sei bravo
  • quello di cui il mondo ha bisogno
  • quello per cui ti pagano.

L’aspetto complicato dell’ikigai è che mentre lo cerchi rischi di girarci più volte attorno. Esso infatti include:

  • passione: quello che ami e in cui sei bravo
  • professione: quello in cui sei bravo e per cui ti pagano
  • vocazione: quello per cui ti pagano e di cui il mondo ha bisogno
  • missione: quello di cui il mondo ha bisogno e che ami.

C’è poi un ulteriore livello di avvicinamento all’ikigai, dove tendiamo a fermarci perché in effetti non è male, ed è laddove tre di questi quattro aspetti si incrociano. Solo però laddove tutti e quattro — passione, professione, vocazione e missione — si intrecciano si forma il nostro ikigai.

Come trovare il proprio ikigai

Non ho la presunzione di aver trovato il mio ikigai, anche se questo blog mi dà la sensazione di esserci arrivato vicino. Nello sviluppo del sito, la promozione attraverso SEO e social network in un modo volutamente essenziale, la ricerca attraverso la lettura e l’esperienza di soluzioni per risolvere i problemi che incontro tutti i giorni, la scrittura che mi ha dato da vivere a lungo, ma sempre al servizio degli altri, e soprattutto nell’aver trovato un modo di rendere tutto questo utile per gli altri, ecco così penso di esserci andato davvero molto vicino. Certo, per essere il mio ikigai dovrebbe darmi uno “stipendio”, ma al momento non vedo come possa farlo senza diventare un prodotto commerciale di quelli che a me non mi (rafforzativo) piacciono. Tutto questo però mi ha insegnato una cosa, di cui trovo conferma nella mie esperienze professionali dell’ultimo decennio:

  1. Solo dedicandoti intenzionalmente a quello che ti piace e coltivando i tuoi valori diventi bravo a fare quello che ti piace fare e alla fine — ci vuole un sacco di tempo — riesci a farti pagare per questo.
  2. Quello che ti piace è quello in cui sei bravo, ma per diventare bravo in qualcosa devi applicarti molto e questo richiede sacrifici;
  3. Che la strada che hai intrapreso sia quella giusta, non lo capisci mai prima di essere arrivato, ma se coltivi intenzionalmente quello che ti sta a cuore, anche se non trovi mai la strada giusta, male che ti vada ne trovi una che va nella stessa direzione e ti porta vicino al tuo ikigai.

L’unico modo di trovare il proprio ikigai, per quello che ne ho capito io, è cominciare a cercare risposte a queste quattro domande:

  • Cos’è che ami più di ogni altra cosa?
  • In cosa sei bravo e non ti pesa la fatica che richiede diventare ancora più bravo?
  • Per quali di queste cose sei sufficientemente bravo da farti pagare, sufficientemente motivato da provarci senza mollare mai, e sufficientemente caparbio da tirare dritto anche se tutti ti dicessero di lasciar perdere e se continuassi a fallire inesorabilmente?
  • In che modo puoi aiutare gli altri e dare il tuo piccolo contributo per lasciare questo mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato?

Quello che ho capito, è che il tuo ikigai lo trovi solo coltivando le tue passioni attraverso side project, progetti personali che tratti come un vero e proprio “secondo lavoro” e ti aiutano a realizzare te stesso.

Due ultime riflessioni. Farsi pagare non significa essere in grado di generare uno stipendio. Farsi pagare significa che le spese per la tua sopravvivenza c’è qualcuno disposto a sostenerle, affinché tu possa continuare a dedicare il tuo tempo al tuo ikigai. Per esempio, un giorno potrei chiedere delle donazioni per continuare a scrivere Vivere Intenzionalmente o potrei trovare un mecenate. Aiutare gli altri significa aggiungere valore alla vita degli altri. E, in un certo senso, è quello che stai facendo anche tu in questo momento, leggendo questo articolo qui. Perché, se non ci fossi tu che leggi, il mio scrivere sarebbe solo un atto di masturbazione. Grazie per aver letto.

Silvio Gulizia Twitter

Apprendista Jedi. Life hacker. Scrittore.