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Vivere in beta permanente

Silvio Gulizia
Silvio Gulizia
6 minuti
Vivere in beta permanente

Tutti abbiamo il blocco dello scrittore. Esso si manifesta all’improvviso, ti congela i pensieri nel cervello e ti impedisce di trasformarli in parole di senso compiuto. E così le migliori intenzioni se ne vanno a carte quarantotto. L’unico modo di salvare la baracca è licenziarsi dalla vita di tutti i giorni e diventare imprenditori di noi stessi.

Siamo tutti imprenditori

Tutti siamo imprenditori di noi stessi, come ha sottolineato il premio nobel per la pace Muhammad Yunus. Ci siamo nati, così.

Tutti gli esseri umani sono imprenditori. Quando vivevamo nelle caverne, eravamo tutti lavoratori autonomi… trovare il cibo, sfamarci. È lì che comincia la storia dell’umanità. Con l’arrivo della civilizzazione, l’abbiamo soppressa. Siamo diventati “lavoratori” perché ci hanno dato questa etichetta, “siete lavoratori”. Ci siamo dimenticati che siamo imprenditori. – MUHAMMAD YUNUS

Nel libro The startup of you, tradotto in italiano con il titolo Teniamoci in contatto, il fondatore di LinkedIn Reid Hoffman parte da questa metafora per spiegare come ognuno di noi possa fare di se stesso una startup. Il libro porta acqua al mulino della sua, di impresa, ma l’ho trovato uno strumento validissimo per sviluppare quella forma mentis necessaria a trasformare l’intenzione di vivere in vita vissuta.

Una vita in beta

Essere startup di se stessi significa lavorare in beta permanente, cioè costantemente in prova. Vale a dire:

  • la nostra vita è un work in progress, dobbiamo sfruttare ogni giorno per crescere;
  • per vivere appieno la nostra vita dobbiamo prenderci un impegno eterno con la nostra crescita personale.

Anche se siamo ottimisti, dobbiamo essere sempre vigilanti e mantenere un senso di urgenza. - JEFF BEZOS Click to Tweet

Con queste parole il fondatore di Amazon ci ricorda che se non abbiamo controllo di quello che ci accade ogni giorno, rischiamo non solo di smettere di crescere, ma anche di perdere quello che già abbiamo.

Il focus sulla crescita è fondamentale nella definizione di startup di Paul Graham, il fondatore del più importante acceleratore di startup del mondo, Y Combinator:

startup = crescita

Dunque, se vogliamo essere una startup, dobbiamo concentrarci sulla crescita permanente. Che si raggiunge attraverso l’estensione della modalità beta (di prova) al normale funzionamento delle cose. Come si fa a vivere in beta permanente? Secondo Hoffman è necessario:

  • identificare il proprio vantaggio competitivo;
  • sviluppare una capacità di adattamento;
  • coltivare il proprio network;
  • creare costantemente opportunità per il cambiamento.

Identificare il proprio vantaggio competitivo

Identificare e coltivare il proprio vantaggio competitivo significa concentrarsi sull’insieme delle passioni che più ci è proprio e coltivare quelle competenze che si sposano con le nostre passioni e le esigenze del mercato.

A livello personale, dopo aver scritto per anni come giornalista e aver lavorato come responsabile di comunicazione, ho deciso di dedicare il mio blog silviogulizia.com a insegnare agli altri come scrivere e come usare l’iPad per scrivere e lavorare. Sono agli inizi, ma questa cosa riunisce le mie competenze in ambito giornalistico e di comunicazione con la mia passione per la tecnologia e la scrittura.

Imparare ad adattarsi

Sviluppare una capacità di adattarsi significa lavorare a un progetto mentre parallelamente gettiamo le basi per un piano B in caso le cose vadano male, e avendo già da parte un piano Z, ossia un salvagente in caso di disastro.

Il piano A è necessariamente sviluppato sulle basi del nostro vantaggio competitivo e per funzionare, secondo Hoffman, deve necessariamente:

  • prioritizzare l’apprendimento;
  • basare l’apprendimento sul fare;
  • includere piccole scommesse reversibili;
  • pensare sempre a quello che accadrà nel futuro remoto.

Pianificare la propria carriera o la propria vita con questa idea in testa significa partire a piedi scalzi, iniziare a lavorare al piano A prima ancora che esso esista.

Quando eravamo cacciatori, la nostra capacità di sfamarci era direttamente proporzionale al tempo che impiegavamo per colpire l’animale da abbattere. Colpire e uccidere può sembrare l’obiettivo di un cacciatore, ma l’obiettivo non è mai colpire e uccidere. L’obiettivo, come nella caccia alla balena, è prendere la mira, fare fuoco, riprendere la mira, rifare fuoco, fino a che l’animale non è preso. Se attendiamo di essere certi di colpire e uccidere, la preda ha più tempo per scappare. E se scappa, non mangiamo.

Agire tutti i giorni per concretizzare le nostre intenzioni di vita, questo è l’unico progetto che funziona. Ed è per questo che nella Sfida di Vivere Intenzionalmente ho dato così tanto spazio al metodo MIT, perché avere piccoli obiettivi da raggiungere ogni giorno ci aiuta ad avanzare verso la realizzazione dei nostri progetti.

Il piano B è qualcosa di simile, ma diverso. A livello personale ho tanti piccoli progetti che sto sviluppando, ma nessuno di questi ha raggiunto lo status di piano B. Se le cose non vanno come dico, dedicherò tutto il mio tempo lavorativo a supportare le aziende nella comunicazione. Nel piano B in un certo senso cambia una variabile di quelle che costituiscono il nostro vantaggio competitivo.

Il mio attuale piano A è frutto di lavoro che ho svolto nel corso del precedente anno come piano B, e quando ho lasciato LUISS ENLABS per realizzarlo ti assicuro che avevo una paura folle di non riuscirci. Lentamente – un po’ troppo piano a dire il vero, perché poi la vita vera è un casino – le cose stanno cominciando a funzionare. Il mio piano A prevedeva di riprendere il controllo della mia vita e passare più tempo con mia figlia e mia moglie, e in questo ho già avuto successo, e guadagnare meno di prima al momento è un trade off che mi posso permettere.
Il piano Z è qualcosa che puoi sempre fare se proprio tutto quanto hai provato a fare è stato un fallimento. Io, se le cose dovessero andare veramente male, tornerò a scrivere come freelance.

Coltivare il network

Da giornalista ho imparato che il mio valore è nella mia rubrica. Perché la mia rubrica determina le persone a cui ho accesso. Per questo è necessario lavorare costantemente per espandere il nostro network.

Hoffman sottolinea l’importanza del network per la nostra crescita. Se da una parte è un’evidente promozione di LinkedIn, dall’altra è un qualcosa a cui non possiamo sfuggire, perché viviamo in una rete tenuta insieme da nodi, e noi siamo uno di quei nodi.

Espandere e sfruttare il proprio network è la chiave di tutto. Mentre lavoriamo ai nostri progetti di vita, dobbiamo necessariamente dedicare del tempo alle relazioni, professionali e personali. Per esempio, alcune cose che ho fatto io, sono state invitare a pranzo dei colleghi, pianificare una cena con mia moglie tutti i giovedì sera, scrivere un’e-mail a uno dei mie contatti ogni settimana per, appunto, mantenerlo un contatto, come una volta ci si scriveva una lettera.

La chiave di tutto è dare senza necessità di ricevere, perché se fai così poi ti torna indietro qualcosa. Ogni giorno dovremmo sforzarci di dare agli altri qualcosa di valore, perché solo così quando ne avremo bisogno essi verranno in nostro soccorso.

Le relazioni che strutturiamo diventano fondamentali quando si tratta di prendere decisioni informate. È al nostro network che dobbiamo rivolgerci per avere degli insight sulla nostra vita e sul nostro lavoro. L’ha fatto anche Gesù Cristo con i discepoli: “Voi, chi dite che io sia?

Quello che dobbiamo cercare sono risposte “azionabili”, vale a dire porre domande le cui risposte ci aiutino a indirizzare la nostra attività. Per esempio, secondo te qual è la cosa in cui sono più bravo?

Creare opportunità per il cambiamento

Tutto questo è molto bello, ma metterlo in pratica è anche assai complicato. Richiede innanzitutto di essere curiosi, sviluppare quella predisposizione per la serendipità che ci porta a trovarci nel momento giusto nel posto giusto per imparare qualcosa di nuovo, conoscere persone nuove o semplicemente incrociare i favori del destino.

Secondo Hoffman questo avviene frequentando gruppi del nostro settore (quelli di LinkedIn, come quelli della parrocchia), sviluppando l’abitudine di identificare opportunità dove gli altri vedono solo rischi, e prendendo rischi intelligenti, cioè sufficientemente grandi da cambiare le cose, ma non così grandi da mandare tutto a scatafascio se le cose non vanno come pianificato.

Prenditi un rischio

I rischi a breve termine incrementano la stabilità a lungo termine. - REID HOFFMAN Click to Tweet

Allo stesso modo, Nassim Taleb ne Il cigno nero spiega come un piccolo incidente sia in grado di prevenire una tragedia.

L’imprevedibile è dietro l’angolo e l’unico modo di prevederlo è prendersi costantemente dei piccoli rischi, così da essere pronti ad affrontare le cose quando si metteranno male, e così da evitare il fallimento.

Il rischio che più mi pare abbia senso prendersi è quello di vivere intenzionalmente la propria vita. Male che vada, ci saremo riusciti in parte. Che è meglio, come direbbe puffo Quattrocchi.

Silvio Gulizia Twitter

Apprendista Jedi. Life hacker. Scrittore.