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Disruptive information: dalle ceneri dei quotidiani alle startup dell'informazione

Silvio Gulizia
Silvio Gulizia
5 minuti

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Migliaia di startup stanno per cambiare il nostro modo di informarci. Le radici di questa rivoluzione, già in corso, affondano nella crisi della stampa “tradizionale”. Il futuro dei giornali quotidiani è una delle poche cose certe: la maggior parte sparirà nel giro di un decennio ha sostenuto di recente su Medium il professore americano Clay Shirky, docente all’università di New York e all’istituto del giornalismo Artur Carter. Gli studi di Shirky si concentrano sugli effetti sociali ed economici delle tecnologie legate alla rete: per questo è una delle persone più adatte a recitare il requiem. L’ultimo giornale di carta sarà stampato con molta probabilità nel 2025. Per allora, secondo il Pew Research Internet, la connessione alla rete sarà affidabile come lo è oggi l’elettricità. Che i quotidiani abbiano i giorni contati ne è consapevole anche l’editore del New York Times, Arthur Sulzberger, il quale ha già annunciato la fine delle pubblicazioni del quotidiano, data da destinarsi. Il futuro del giornalismo è però più roseo di quanto si creda.

Non sarà la morte del giornalismo, ma potrebbe essere quella di un certo tipo di informazione quotidiana alla quale siamo assuefatti. Se vogliamo farci un’idea di cosa succederà dalle nostre parti nei prossimi anni dobbiamo guardare oltreoceano, dove in media sono un lustro più avanti di noi su ciò che riguarda la tecnologia. Questo perché la storia dell’informazione è sempre stata legata a doppia mandata all’evoluzione tecnologica. In America i proventi delle inserzioni pubblicitarie sui giornali stampati sono calati del 49 per cento dal 2003 e negli ultimi cinque anni sono tornati ai valori degli anni Cinquanta (fonte: Newspaper Association of America). Nonostante questo, le notizie per il futuro sono buone.

Una storia esemplificativa: The Daily

Il Daily di Murdoch, il primo quotidiano solo per iPad, ha chiuso in poco più di un anno perché non cresceva a un ritmo sufficientemente veloce. Eppure aveva oltre 100 mila abbonati. La struttura interna del quotidiano però era ancora quella di un giornale di carta, con costi insostenibili per il web se ci si limita soltanto a trasmigrare il carrozzone. Abbiamo capito che la gente vuole pagare per gli abbonamenti al giornale su tablet. Presto sarà normale che in ogni famiglia ci siano diversi tablet e arriverà il momento dei giornali digitali ha detto poco dopo la chiusura del Daily, nel 2012, il fondatore di Amazon Jeff Bezos. Poi si è comprato il Washington Post e ora c’è chi scommette sull’Amazon Post o Kindle Post.

Un cambio radicale

Siamo alla vigilia di un cambio radicale nel modo in cui fruiamo l’informazione. Ci aspetta uno stravolgimento che coinvolgerà le fonti dei ricavi, la tipologia dei lavori, la tecnologia usata, i contenuti prodotti e i comportamenti dei consumatori. Diversi di questi cambiamenti li abbiamo già visti introdotti da alcune startup apparse sulla scena internazionale negli ultimi quattro anni, come Flipboard, Pulse, Zite, Summify, Nuzzel, Circa, Summly o De Corrispondent, il quotidiano olandese nato dopo aver raccolto un milione di euro in crowdfunding.

Il rapporto sull’innovazione del New York Times

Al New York Times hanno compiuto un’indagine su quello che sta succedendo. Il rapporto, trapelato on line nei mesi scorsi, mette nero su bianco i mali del giornale, così come di tanti altri quotidiani sbarcati su Internet senza adeguarsi al mezzo:

  • l’homepage non funziona più;
  • è necessario innovare la piattaforma per migliorare prodotto e fruibilità;
  • occorre fidelizzare nuovamente i lettori;
  • serve un sistema di tagging per far emergere un contenuto quando qualcuno lo cerca;
  • grafica e immagini rappresentano uno strumento fondamentale per catturare l’attenzione, troppo spesso trascurato;
  • senza l’ausilio dei social network la diffusione non cresce.

Il ruolo di social network e mobile

I social e lo sviluppo dei dispositivi mobili hanno fatto molto di più che portare i consumatori all’interno del processo di costruzione e distribuzione della notizia. Stanno cambiando le dinamiche del processo stesso. I consumatori oggi hanno un peso specifico nel determinare che cos’è una notizia, prerogativa prima riservata ai giornalisti.

News e social media sono oramai strettamente correlati. Vediamo qualche numero evidenziato dagli analisti del New York Times:

  • il 50 per cento degli utenti dei social network condivide o ripubblica notizie sotto forma di testi, immagini o video;
  • metà di quelli che condividono notizie si “occupa” di almeno sei temi diversi;
  • il 46 per cento discute le notizie e gli eventi sui social;
  • i più interessati alle news su Facebook sono i giovani fra i 18 e i 29 anni;
  • metà di quelli che guardano video sui social guardano video di news;
  • l’undici per cento dei “consumatori di notizie” ha inoltrato contenuti propri (testi, audio, foto e video) a siti e blog di informazione.

Tre grossi problemi

I giornali tradizionali hanno oggi tre gravi problemi. La startup americana NewsWhip, impegnata nel tracciamento della diffusione delle notizie in rete, ha dimostrato come le prime pagine dei quotidiani siano tutte sbagliate, mettendo a confronto gli articoli selezionati dai giornalisti dei principali quotidiani americani per la propria testata con quelle più lette on line sui relativi siti. Se le prime pagine fossero create dai lettori sarebbero molto diverse. Amici e network sono divenuti le fonti delle notizie. Inoltre i giovani vogliono essere raggiunti da news personalizzate, ma i gruppi editoriali stanno investendo molto meno nell’arrivare a questi nuovi lettori di quanto non abbiano mai fatto per arrivare nei bar, all’uomo della strada o agli zerbini delle case.

Un mercato in crescita

Negli ultimi due anni in America svariate centinaia di milioni di dollari sono state investite nel finanziare startup editoriali. Quello delle news è un mercato in crescita. Grazie alle nuove tecnologie ci sono sempre più persone che accedono alle notizie e vogliono essere coinvolte e intrattenute sostiene Eric Hippeau, managing director di Lerer Ventures, uno dei fondi di capitali di rischio più attivi in questo settore. Cinque anni fa nessun venture pensava che i media fossero un buon investimento. Ancora oggi ci sono investitori che non vogliono essere coinvolti nella produzione dei contenuti – ha raccontato a Quartz Jonah Peretti, CEO di Buzzfeed – Cominciano però a essercene molti che dicono: “Ora capisco che hai la possibilità di scalare il tuo business e crescere on line, perché grazie a social e mobile puoi creare grandi media partendo dal nulla”.

L’innovazione disruptive

I gruppi aziendali esistenti non hanno la pazienza di attraversare quella fase, tipica delle startup, di sviluppo e ricerca che precede la generazione dei profitti. Ne è la dimostrazione The Daily, chiuso con 100 mila abbonati paganti e “solo” 30 milioni di dollari di perdite, meno della metà di quelle del New York Post, altro giornale dello stesso editore (Rupert Murdoch). Le startup sono invece portatrici di innovazione disruptive. Le sue caratteristiche:

  • viene introdotta da un outsider;
  • è meno costosa dei prodotti esistenti;
  • colpisce mercati arretrati o nuovi;
  • inizialmente è inferiore alle alternative che già ci sono;
  • sfrutta le nuove tecnologie per creare prodotti sofisticati.

Le startup dell’informazione

Su Angel List, portale che mette in contatto gli investitori con le startup, ci sono 220 nuove imprese che si occupano di giornalismo, 249 di social news, 1.174 nuove aziende editoriali e 8.423 startup nel settore dei media. Gli investitori privati e professionali interessati a investire in questi settori sono oltre 30 mila.

Si tratta di una rivoluzione iniziata con Facebook, LinkedIn e soprattutto Twitter e che dal 2010 ha dato il là a profondi cambiamenti. Nel mio intervento al Festival della Comunicazione di Camogli sabato prossimo illustrerò i trend in corso e le startup che stanno per rivoluzionare il nostro modo di informarci. La cosa bella è che ce ne sono alcune anche in Italia e nel loro piccolo, negli ultimi due anni, hanno cominciato a registrare numeri interessanti.

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Silvio Gulizia Twitter

Apprendista Jedi. Life hacker. Scrittore.