Resilienza nella pianificazione

Spesso faccio grandi piani o immagino che poche singole azioni cambieranno completamente la mia vita, e poi mi ritrovo sul divano che non è servito a nulla. Ahimè le cose non vanno sempre come pianificato, ma lasciar perdere non è la soluzione. L’alternativa si chiama resilienza, e penso l’abbiano inventata per descrivere i pugili che se ne stanno chiusi in un angolo a prendere cazzotti fino a quando non trovano il modo di reagire e andare a vincere l’incontro.

Resilienza viene dal verbo latino resilire, rimbalzare. O meglio dal suo participio presente: che rimbalza. Nel nostro caso, indica la capacità di reagire in modo positivo alle difficoltà che incontriamo, senza lasciarsi abbattere. È più o meno come andare in bici: l’equilibrio è il risultato di micro-aggiustamenti continui per rispondere alle avversità del terreno.

Ti faccio un esempio pratico. Io ho un piano per rendere quest’anno memorabile. Siamo a inizio aprile: alcuni obiettivi li ho raggiunti, altri no. Ho fallito due dei più importanti. È un piano da buttare? Assolutamente no. È il caso però di fare una revisione, e poi lavorare sodo per mettersi in carreggiata, o tagliare qualcosa.

Come affrontare i fallimenti

La prima opzione non è funzionale. Laddove ho fallito, è stato a causa delle circostanze avverse, non certo per colpa mia. Questo però cozza con il mio modo di vedere la vita: è sempre colpa mia. Sempre e comunque. È colpa mia non aver previsto che le condizioni avverse avrebbero potuto essere peggio di quanto previsto. Tentare di rimettermi in carreggiata mi farebbe fallire di nuovo, perché probabilmente il resto del mio piano è viziato dalla stessa incapacità di programmare. Che poi è una cosa comune a tanti, e anche quando ci viene detto, come nel mio piano, di tagliare, tagliamo sempre meno del dovuto.

Dunque, vediamo la seconda opzione. Essendo trascorsi già tre mesi, dalla mia ho abbastanza dati per valutare cosa ha funzionato e cosa no, e riprogrammare il mio piano sulla base di questi dati. Per esempio, avevo in mente di studiare un libro la sera dopo aver messo a letto i bambini, ma questo si è rivelato pressoché impossibile perché alla sera c’è sempre qualcosa di avanzato dalla giornata appena trascorsa che va sistemato. Ergo, devo spostare al mattino questa attività, oppure accettare di metterci molto di più a finirlo. Il tempo però quello è, quindi devo tagliare altre attività.

Al tempo stesso, alcune cose che avevo indicato come opzionali e pianificato per il futuro, continuano a ripropormisi incessantemente. Potrei restare ligio al mio piano, e imparare a convivere con esse. Oppure ascoltare quelle voci e cercare di capire se possono essere introdotte nel piano. Ahimè, aggiungere è contrario a togliere, che è la parola d’ordine. Quindi di qui non si passa. A meno che, per ogni cosa aggiunta io non ne tolga due. E questa è una buona regola per procedere con l’aggiustamento necessario.

Il giusto modo di guardare indietro e avanti

Un approccio a un lavoro di riprogrammazione basato sulla resilienza prevede di rimanere positivi, sviluppare autocompassione, perdonarsi e incoraggiarsi a fare meglio, indagando i motivi del fallimento e trovando rimedio a essi.

È così che ho ripreso in mano il mio piano e lo sto rivedendo. Restano 9 mesi e per essere sicuro di portare a termine quanto pianificato dovrò togliere più di quanto non fossi disposto a fare.

C’è una differenza fondamentale fra chi fallisce e chi no: i primi si fermano al fallimento, gli altri aggiustano il tiro e procedono oltre.

PS: se vuoi provare a pianificare un anno in 9 mesi, qui trovi il mio planner.