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Pensavo che pubblicare il mio libro dopo anni di ricerche mi avrebbe procurato un’enorme soddisfazione, ma da quel giorno ho iniziato ad avvertire una sensazione di vuoto . Difficile da spiegare. Questo libro l’ho scritto per aiutare i miei figli a scoprire prima, nella loro vita, cose che io rimpiango di aver compreso troppo tardi, così da riuscire a rimanere concentrati sui propri perché e rispedire al mittente le continue angherie con cui la società della distrazione tenta di impossessarsi delle nostre vite. Mi era venuta questa idea un giorno che i miei esami del sangue, eseguiti per accertarmi che la cura intrapresa stesse dando buon esito, mi fecero temere il peggio. Poi, pubblicato il libro, è stato come se mi fossi sentito pronto per quel peggio e non mi rimanesse altro che attenderlo. Con un po’ di sorprendente impazienza.
Così è trascorso qualche giorno; poi per fortuna è passata. E sai com’è passata? Meditando. Letteralmente. Avevo in mente questa idea qui di ragionare per stagioni, e sono ripartito dallo zazen, la meditazione Zen, che mi permette di risolvere l’indecisione fra concentrarmi sulla meditazione o sullo Zen. Riprendendo da qui, sono tornato a meditare su quella sensazione di vuoto che avevo dentro, e l’ha messa in correlazione con quella idea di dovermi trasformare in una porta attraverso cui lasciar passare l’aria, quando medito. Una cosa che avevo letto in Mente Zen, mente di principiante di Shunryu Suzuki. Ti invito a seguire il mio ragionamento.
Quando esattamente si muore?
Siccome non è che quando medito io sia una cosa diversa da quella che sono in tutti gli altri momenti, dunque che succede quando medito? Intendo dire, al di là dei benefici che il mio corpo ne trae, cos’è che mi succede quando resto lì con lo sguardo su un muro bianco o gli occhi socchiusi, concentrandomi sul respiro, senza pensare a nient’altro?
Dunque, l’aria che prima era altro da me si trasforma in me diventando il mio respiro. E questo respiro qui lo sento nascere dentro di me, mentre cerco di individuare da dove venga, dov’è che concretamente nasca, e mi provo a seguirlo nella strada che esso percorre. Così mi pare che nasca fuori di me. O forse no. Tecnicamente infatti sono i miei polmoni che dilatandosi e contraendosi attirano l’aria dentro di loro e la spingono poi fuori. Però, non è che io muoia se i polmoni smettono di funzionare; muoio se rimango senz’aria. E su questa cosa qui del morire, la mia riflessione ha preso una deriva incontrollabile. Quando è che uno muore?
Polmoni, cuore e cervello sono le tre possibili risposte a questa domanda. Detto che polmoni e cuore li puoi sostituire, ho ragionato, dunque cervello. Ammesso e non concesso che il cervello non si possa sostituire. Magari è solo una questione di tempo, com’è stato per cuore e polmoni, no? Perché, in fin dei conti, è sempre un pezzo di noi e non noi. Voglio dire, tu non sei il tuo cervello, così come non sei la tua mano, no? Ok, più che di cervello forse dovremmo parlare di mente. Già, ma che è la mente? Facci un attimo mente locale 🙂 e prova a rispondere?
Ok indagherò la questione nei miei prossimi articoli; per il momento diciamo che la mente è qualcosa che trasforma impulsi esterni e interni in modelli della realtà, consentendoci di rapportarci con essa. Uno strumento di codifica che ci consente di fare con quello che percepiamo. Quando questo strumento smette di funzionare, siamo morti. Ok, ci può stare, no? Nì. Sicuramente non avremmo la percezione di essere vivi, ma il nostro corpo potrebbe continuare a funzionare lo stesso. In apparenza sarebbe come dormire, se non fosse che la mente funziona pure mentre dormiamo, anche se non ne siamo coscienti. Uh, la coscienza!
Altro da me
E questa ti sfido di nuovo a definirla. Coscienza, anima, spirito, Dio, a seconda della tua geolocalizzazione questi concetti si sommano, sovrappongono e/o confondono. Chiamiamolo Altro, almeno per ora. Poi magari ci torniamo. Quando quest’Altro non c’è più, siamo morti. Ok, non possiamo neppure chiamarlo Altro perché altrimenti non siamo più noi, siamo Altro. Chiamiamolo semplicemente X. Quando X smette di funzionare non siamo più noi. E che siamo? Y. Anzi no, perché a scuola ci hanno insegnato che nulla si crea e nulla si distrugge, quindi non diventiamo Y, restiamo X. In un’altra forma. Cioè no, scusa, questa sarebbe una metonimia, perché X è una parte di noi e non il nostro tutto.
Facciamo un passo indietro. Come ci siamo arrivati, qui? Ah sì, ti stavo spiegando che quella sensazione di vuoto che avevo dentro è sparita meditando. E questa cosa qui del meditare, tecnicamente, è mettere corpo e mente a riposo. In un certo senso, lasciare attivo solo X. Il che mi ha riportato al concetto della porta e dell’aria. Quando uso solo X mi capita questo: mi entra dell’aria dentro e percepisco ogni singolo istante del mio respiro. E questa cosa qui mi ha portato a pensare che sono, siamo Aria. E quando ci sentiamo altro, tipo io o tu, è perché ci siamo dentro a quello che chiamiamo io o tu e ne abbiamo coscienza. Cioè, questa cosa qui della coscienza ce la possiamo avere solo quando ci siamo dentro. Non fa una grinza, no?
Percezione
Penso che io e te e quelle altre tremila persone che leggono questa newsletter siamo aria che gira. E che quando passa in questo corpo qui ha la percezione di essere me; e quando passa in quel corpo lì ha la sensazione di essere te; e quando passa in uno dei tremila corpi di quegli altri là ha la sensazione di essere uno di quei tremila altri là. E da qui intuiamo che c’è qualcosa di più che stare in questo corpo qui o quello lì o uno di quelli là, ma quando siamo in questo corpo qui non possiamo percepire quello che c’è fuori da questo corpo qui.
Quando medito, mi sento in contatto con quello che c’è fuori di qui, ma non ci capisco granché. Comunque è un punto di contatto 🙂 Mi chiedo solo se questa Aria abbia mai la percezione di essere se stessa. In ogni caso, non sono vuoto perché sono pieno di Aria. Se ti sembra che ci sia qualcosa che non va, è perché confondiamo il vuoto con l’aria. Il vuoto non è aria, ma nel vuoto c’è Aria. E io dentro di me non avevo il vuoto, ma ero pieno di quest’aria che in altri punti del mondo (!) si comprava il mio libro per rimanere connessa con se stessa.
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Non a caso quando uno muore si dice che ha esalato l’ultimo respiro. Ovvero da diffuso nell’aria circostante quell’aria che era dentro di sé. È tornato tutto da dove era venuto.
Dicono che meditare aiuti a diventare se stessi. Non so se sia vero, ma sicuramente mi fa bene e la prossima stagione ho deciso di prendere una bella boccata d’aria.