Trasformare una passione in una pratica di crescita personale

Ti avevo raccontato in un precedente articolo che il mio sogno di riprendere a studiare la tromba è divenuto un obiettivo, pur minimo e marginale, del mio anno memorabile in seguito a una serie di improbabili combinazioni dovute a congiunzioni astrali propizie. Per superare lo scoglio su cui mi ero arenato 30 anni fa, le note sopra al rigo, ho iniziato a cercare su Google qualcuno che mi spiegasse i principi fisici dello strumento. Mi sono così imbattuto in Cataldo Barreca, trombettista e insegnante di tromba del liceo, che propone la pratica dello strumento come cura del sé, introducendo in essa elementi di Zen, Yoga, Feldenkrais e mindfulness. Ci ho fatto una chiacchierata e ho capito che chiunque di noi può trasformare la pratica di una passione in uno strumento di crescita personale.

Il percorso di Cataldo è iniziato nel 2005 con un libro, Lo Zen e il tiro con l’arco, che lessi da giovane e ho ripreso in mano di recente (ennesimo allineamento astrale). La Feldenkrais arriva due anni dopo al Conservatorio, corso “tecniche corporee e funzionali”. Il metodo Feldenkrais è stregoneria pura. Provo a semplificare: uno stregone ti muove o ti fa muovere in un certo modo per mostrare al tuo cervello movimenti corretti in modo che all’occorrenza esso possa sostituirli a quelli sbagliati che per chissà quale motivo ha mandato a memoria. L’ho scoperto un paio di anni fa quando mi fu prescritta della ginnastica postulare per riprendermi dai dolori che mi tormentavano schiena, spalle, ginocchia e diverse altre articolazioni. Per vincere il mio scetticismo, l’infermiera un giorno si offrì di condurre un lavoro specifico per la schiena, anziché insegnarmi gli esercizi da ripetere a casa. Accettai e lasciai lì il mal di schiena. Stregoneria, come ti ho detto! Tornando a Cataldo, lo Yoga fu inizialmente un tentativo di rimettersi in forma, mentre la mindfulness fu la conseguenza di un libro regalato.

Mi parlò di Lo Zen e il tiro con l’arco il primo maestro di tromba al conservatorio. Ho letto qualcosa a riguardo e nel tempo ho cercato di mettere in pratica tali insegnamenti nella vita quotidiana, tromba compresa. Dopo il corso sulla Feldenkrais capii che per ottenere un livello strepitoso con la tromba il mio solito modo di esercitarmi non sarebbe bastato. Ho cercato di disabituare il corpo da certi errori divenuti “naturali” ricercando posture e movimenti da utilizzare per agevolarmi, sia durante lo studio a casa che durante le performance pubbliche. Mi si accese un pallino che poi ho approfondito negli anni. Rendendo elastica la schiena, le spalle, il collo e così via, ho notato da subito maggiore libertà nel suonare, miglioramenti nel respiro e nella concentrazione. Mi risuonava sempre in mente una frase: “Quello che mi interessa ottenere non è la flessibilità del corpo, ma quella della mente”. Negli anni ho raccolto in maniera sistematica le cose imparavo e scoprivo e ho poi iniziato a proporle ai miei allievi, con risultati sorprendenti.

Nella palestra di Yoga che frequentavo tempo fa c’era scritto: “Non è come pensi, è come senti”. Mi sembra che abbia a che fare con quello che dici. Che significa flessibilità della mente?

La realtà è diversa da come la pensiamo. Il cervello vive in qualche modo in un mondo tutto suo, si crea delle convinzioni e poi dà per certo quello che ne deriva. Tenere conto che abbiamo questi preconcetti significa ogni volta chiederci se le cose siano effettivamente come le pensiamo. Per esempio posso essere convinto che nel legato io stia alzando la lingua, ma lo metto in dubbio: ci pongo attenzione e scopro che non lo sto facendo (mi sta capitando proprio questa cosa con le note alte, n.d.a.).

Domanda marzulliana: Zen, Feldenkrais, Yoga e Mindfulness sono funzionali a suonare lo strumento o lo strumento è un modo per praticare al di fuori degli spazi riservati a queste attività?

La prima. Però considerato che suonare uno strumento è soprattutto passione e comunicazione, in fondo può anche essere la seconda. Solo però nel momento in cui si riesce a suonare e a esprimersi con lo strumento senza pensare di gestire l’aspetto tecnico. In certi casi può diventare una sorta di meditazione, un certo essere nel qui e ora.

Una delle parole attorno a cui ruotano tutte queste pratiche è consapevolezza. Cosa significa per te?

La consapevolezza mi consente di stare centrato, regolare bene i miei tempi, non inseguire e soprattutto non essere inseguito. Ho imparato a dire di no e a darmi delle priorità. Questo mi consente di mantenere più alta la concentrazione. In passato mi capitava spesso di lasciarmi trasportare dagli eventi. Oggi quando accade, essendone consapevole, me ne accorgo in fretta e correggo il tiro.

Qual è il nesso fra questo e la tromba, o una qualunque altra passione?

Questa consapevolezza mi consente di studiare solo quanto opportuno in un dato momento, senza perdermi in esercizi inutili. Non era cosi scontato in precedenza e ho notato che molti studenti hanno lo stesso problema. Basta qualche domanda per creare il vuoto nelle loro menti, come succedeva anche a me: “Che cosa speri o pensi di ottenere da questo esercizio? Che abilità ti potrebbe dare? Dopo averlo eseguito ti sembra che hai ottenuto quello che speravi?” La maggior parte delle volte la risposta non è scontata!

Sul tuo sito, ilrespirodellatromba.it, usi il termine “semplificare” come risposta alle difficoltà che si incontrano suonando la tromba, che per esperienza non sono poche, come non sono poche nel piano, nella chitarra o nell’armonica, nello scrivere un blog, progettare un sito web o soprattutto preparare la cena ai miei figli. Come funziona questo “semplificare”?

Semplificare ti consente di vedere chiaro e mettere a fuoco. Qualsiasi cosa vogliamo fare con lo strumento, prima dobbiamo essere in grado di visualizzarlo nella nostra mente. Se non è chiaro, l’obbiettivo è irraggiungibile, perché mente e muscoli non sapranno cosa fare. Una volta chiarito e raggiunto l’obiettivo, si può aumentare la difficoltà della consegna. Con il tempo, giorno dopo giorno, il nostro corpo ci consente di ottenere qualsiasi cosa; la velocità di realizzazione dipende dalla difficoltà dell’obbiettivo, ma se ce l’hai chiaro nella mente, prima o poi lo raggiungi.

Per molti di noi suonare è una passione che più o meno coltiviamo nei ritagli di tempo. Come si trasforma questa passione in una cura per il nostro male di vivere, come in un certo senso sono Yoga, meditazione, Zen e Feldenkrais?

Per coltivare una passione occorre una programmazione sensata. Serve una guida competente per non incappare in sensi di colpa durante la pratica e rischiare di non ottenere nulla dall’esperienza. Quando decido di seguire un allievo, per prima cosa stabiliamo insieme una sorta di piano di lavoro, una programmazione per obiettivi, cucita su misura, in base al suo livello in entrata e al tempo che avrà a disposizione per studiare, oltre che ai suoi gusti musicali. Una volta stabilito che, per esempio, può dedicare un’ora di tempo al giorno, basta fare di tutto per rispettarlo. È importante che l’allievo sia convinto che il tempo da dedicare allo strumento è un tempo che concede a se stesso. È importante pretendere ed esigere questo tempo, senza distrazioni. Non appena stabilito ciò, bisogna dividere le sessioni in due parti: 30 minuti per la tecnica, intesa come tutto ciò che serve per migliorare; e 30 minuti di repertorio, per provare emozioni durante la pratica. Quest’ultima parte serve per mantenere la giusta motivazione e godere della pratica. Aiuta a superare le difficoltà che via via si presentano nella parte tecnica. Senza repertorio si affievolirebbe fino a venir meno l’interesse iniziale, portando all’abbandono. Un po’ come lo Yoga o la meditazione: quando hai stabilito un’abitudine di cui godi poi non riesci più a fare senza.

La fai un po’ semplice. Quando mi concedo del tempo per suonare un brano e non mi vengono le note alte avverto una profonda frustrazione che combatte per avere la meglio su di me…

A volte nella pratica subentrano sentimenti di sfiducia o sconforto, ed è del tutto normale. Diamo un valore da 1 a 10 a questo sconforto: quanto è? Se non avessi conoscenza di pratiche come quelle di cui stiamo parlando, sarebbe lo stesso o magari maggiore? Se già reagisci in maniera diversa, accettando la frustrazione come una cosa naturale e passando oltre, se riesci a vedere dove sbagli perché accetti di sbagliare a fare cose che sei convinto di fare giusto, lo sconforto diventa solo un normale elemento del percorso di studio che stai compiendo.