La fine delle app e l'inizio della voce

In un interessante articolo su StartupItalia Arcangelo Rociola prova a fare il punto su un nuovo tormentone: la fine delle app. L’articolo analizza i cambiamenti in corso nell’app economy e fa un parallelismo con la fine del web di cui si è iniziato a parlare nel 2010.

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Antoine-Laurent de Lavoisier

Nel leggere l’articolo di Arcangelo ho sentito la mancanza di un’analisi di tipo economico. Ecco alcune riflessioni con cui mi piace alimentare la discussione:

  • Gli app store vari fanno pagare agli sviluppatori un percentuale per distribuire al loro interno, in genere del 30 per cento, e liberarsi da questo pizzo vorrebbe dire alzare di non poco i margini.
  • Al contempo, gli app store rappresentano a oggi l’unico modo di raggiungere un ampio pubblico in maniera più o meno certificata.
  • Per vendere app e servizi attraverso siti in HTML 5 o qualunque altra tecnologia è necessario gestire le transizioni con gli utenti, che rappresentano un costo e uno sforzo notevole soprattutto per chi è all’inizio, vale a dire le migliaia di sviluppatori indipendenti che hanno fatto la propria fortuna attraverso gli store di Apple, Goole, Amazon e Microsoft, che oggi gestiscono in maniera sufficientemente sicura le nostre carte di credito e i nostri dettagli.
  • D’altra parte, vendendo negli store i publisher non hanno accesso ai dati degli acquirenti, vale a dire l’email, e così non sono in grado di fare upselling.

Parentesi sul passato: Mozilla ha provato a creare il suo app store in HTML, ma nonostante l’ottimo lavoro svolto non sono arrivati risultati.

Credo che per completare il discorso sia utile guardare anche alle nuove tecnologie all’orizzonte. Il mercato consumer si sta spostando completamente su dispositivi semi-mobili: la gente usa ancora il computer al lavoro, ma a casa ha un iPad, un tablet Android, o magari un Surface o un tablet con Linux. Su questi dispositivi la fruizione del web è garantita, ma limitata. Non tanto per una questione tecnologica, quanto per una culturale.

Una volta ci sedevamo davanti alla TV chiedendoci cosa ci fosse da vedere e facendo zapping fra i vari canali. Oggi sappiamo prima quello che vogliamo vedere. Idem con Internet e con i nostri dispositivi: sappiamo spesso prima ciò che vogliamo fare. Lo schermo dell’iPad, e i suggerimenti automatici di Siri, sono perfetti nel darci accesso ai nostri interessi, come gli speed dial che tempo fa comparvero sui browser.

Nella battaglia per la nostra attenzione spesso non vince il più bravo, ma il più veloce. Apro sempre di meno l’app del calendario o delle note sul mio iPhone, così come le mappe, il timer, la sveglia, i messaggi e altre app, perché faccio prima con Siri. Apple con iOS 10 comincerà ad aprire le porte di Siri agli sviluppatori in maniera interessante. La tecnologia del futuro non è rappresentata nè dalle app nè dal web, ma da una nuova forma di interazione che passa attraverso la voce e la cui avanguardia in un certo senso sono i chatbot con cui stiamo iniziando a giocare.

Nota a margine. Apple e Facebook, rispettivamente con l’app News (da ottobre in italia) e gli instant article, hanno iniziato a giocare una partita sporca, ma perfettamente in linea con quello che appuntavo sopra. Il loro obiettivo è farti fruire del web all’interno delle proprie app. Nel modo più veloce possibile, senza farti perdere tempo a gironzolare per il web.

Seconda nota a margine: oggi le app hanno il web dentro di sé. Il fatto che Apple abbia permesso agli sviluppatori di includere Safari all’interno delle loro app, così da non far scappare gli utenti, è un segnale che lo web non è destinato a morire, ma resta complementare alla nostra esperienza della Rete.

 

PS: ho “scoperto” l’articolo di Arcangelo via email e ho scritto questi appunti in un’app, finalizzando l’articolo direttamente in Safari sul mio iPad.