Cosa significa “meditare” e da dove viene

Quando ho deciso di scrivere un libro sulla meditazione, mi sono trovato davanti a due punti chiave da affrontare:

  • cos’è la meditazione
  • perché meditare.

Ora, se uno si compra un libro sulla meditazione, questo dovrebbe essere già chiaro in partenza, no? E no, non é così perché noi “esseri razionali” prendiamo le nostre decisioni non con il cervello, ma di pancia, e spesso la scelta giusta é quella sbagliata. È così che è nato il titolo del mio libro: La Pratica.

Dunque, a mio avviso la meditazione è una pratica volta a tradurre in concreto un determinato approccio alla vita. È pratica perché è qualcosa di concreto che sei chiamato a svolgere, e perché si evolve attraverso la ripetizione.

Il termine pratica viene dal greco pràktiké, che sottintende tècnê, e indica la scienza pratica, in contrapposizione alla conoscenza teorica. La principale differenza è che la pratica conduce a un risultato concreto, tangibile, mentre la teoria rimane astratta. Nella meditazione però non è esattamente così, o meglio non è solo così: perché la meditazione è pratica e teoria insieme. È una pratica che concretizza la teoria, ovvero se stessa. Nel libro lo spiego bene, ma per ora fidati.

Se dunque la pratica è la concretizzazione di una teoria, la meditazione per esteso è la concretizzazione di uno specifico approccio alla vita, che nel mio caso identifico con il “vivere intenzionalmente”. Possiamo percepire il risultato concreto di questa pratica solo ed esclusivamente nella vita reale, e dunque nella trasposizione (pratica) di quanto intuito durante la meditazione (teoria e pratica).

Il che è apparentemente la risposta alla domanda perché meditare?, solo che non lo è. La risposta corretta è infatti meditare per meditare, ma questo concetto non si spiega, si comprende e basta. Così ci ho messo qualche pagina per illustrarlo, ma alla fine mi sono arreso e ho pensato che comunque per iniziare sia necessario un po’ di motivazione per così dire esterna, e quindi ho inserito tutti i benefici psicofisici che la meditazione procura, e ho spiegato come trovare la motivazione necessaria per continuare nella pratica nonostante i momenti di difficoltà che si incontrano.

Mi sono convinto a usare il termine pratica quando ho realizzato che per me la meditazione era divenuta lo strumento per concretizzare tutte quelle riflessioni svolte precedentemente sul vivere intenzionalmente. Penso che i germi di questo libro fossero già presenti nel capitolo sulla pratica intenzionale del mio libro Vivere intenzionalmente.

Di seguito, un estratto dal capitolo sulla genesi della meditazione, che risale a circa 5.000 anni fa e che curiosamente è presente in tutte le principali religioni, dal Cristianesimo all’Ebraismo, dall’Islam all’Induismo e così via.

La parola meditazione proviene dal sostantivo latino meditatio, a sua volta derivazione del verbo meditari, che significa “prendersi cura di”, ma anche pensare e contemplare. Meditari è una forma intensiva del verbo mederi, sempre prendersi cura di, da cui derivano la medicina e il rimedio. La radice linguistica è ma- o man-, che nelle lingue indoeuropee indica il misurare e il pensare. Modo, maniera, misura, sono tutte parole che si rifanno alla stessa radice. Una persona modesta vive una vita misurata. Una cosa meditata è ponderata e preparata, il contrario di subita. Che invece significa immediata, senza riflessione, così come subito significa senza attesa.

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Oggi con il termine meditazione indichiamo una pratica condotta al fine di placare l’incessante rumore di sottofondo con cui ci obbliga a convivere la nostra mente, al fine di quietarla e raggiungere una piena consapevolezza di sé. In questo senso, prendendoci cura di essa e concedendoci un momento di pace. Ma anche, scegliendo di vivere una vita ragionata, attenta, e preparandoci per quello che viene dopo, qualunque cosa sia.